Nel presente articolo si terminano gli affondi sulle categorie di significanza:
- sostegno interno duraturo
- sostegno esterno provvisorio
- difesa/ attacco
- guida/modalità esistenziale
- predisporre provvedere al necessario
- rendere più evidente (mettendo in tensione)
- dare riconoscimento solenne
- immagine ironica di affiancamento alla progettazione senza diretta assunzione di responsabilità e rischio
5. predisporre, provvedere al necessario
“Impara l’arte e mettila da parte” recita un adagio che nella sua accezione più ampia non riguarda solo propriamente le arti e i mestieri ma, in generale, un atteggiamento a essere pronti e preparati davanti alle evenienze della vita. Non si sa quando qualcosa che si è imparato potrà essere utile o necessario e così questo antico proverbio invita a studiare, a imparare, acquisire saperi diversi che potranno servire in un momento indefinito nel futuro.
E’ un proverbio che, per indole ed educazione, ho sempre sentito vicino ma ovviamente non si può imparare tutto e non è saggio passare la vita “preparandosi” alle possibili, probabili o meno, occasioni di utilizzo che si possano incontrare, ma ci indirizza nella strada giusta per comprendere in che modo la 5 categoria di significanza di a(r)mare e armatura può essere attribuita alla filosofia praticata.
Una delle declinazioni della filosofia praticata è la Filosofia Con i Bambini e i Ragazzi e qui si innesta perfettamente il concetto di preparazione, predisposizione…infatti prima di affrontare il mondo da soli come individui adulti c’è un periodo di maturazione in cui si viene accompagnati nella costruzione dei fari con cui regolare la nostra traversata esistenziale, la compilazione delle mappe che ci guideranno nelle scelte e dei baluardi in cui rintanarci quando infuria la tempesta. Chiaramente questi elementi sono un insieme dell’educazione familiare, scolastica, del proprio contesto culturale e della società in cui si è immersi e di cui si è parte, vi sono elementi ineffabili che vengono tramandati di generazione in generazione, insieme di tradizioni e credenze radicate, identitarie di un gruppo o di una società intera…la proposta della filosofia qui avanzata non è qui quella platonica di strappare i fanciulli alle cure della famiglia appena finito lo svezzamento per farli educare e crescere dai filosofi! Ma più semplicemente di predisporre nei fanciulli quegli strumenti critici, di allenare quelle competenze che serviranno loro per saggiare i fari, le mappe e i baluardi con cui sono stati cresciuti così da potervici aderire o meno con maturità e responsabilità, diventando così adulti consapevoli. Questa categoria afferisce a un lavoro a monte e credo sia una delle bellezze paradossali della filosofia…mi spiego: solitamente la filosofia è raffigurata come riflessione (e comprensione razionale) che avviene a valle dell’accaduto, la famosa nottola di minerva di hegeliana memoria MA come pratica filosofica ha anche l’ardire di porsi a monte degli accadimenti futuri allenando a dipanare, organizzare, scegliere e comprendere razionalmente prima di compiere scelte, agire azioni, pronunciare parole.
In questo senso la filosofia praticata non solo può trovare o risolvere il problema una volta che la vita si manifesta..ma lo ”dissolve prima che possa accadere” (cit. kairoscoah ).
E’ un mandato e una missione molto impegnativi sia per chi la propone sia per chi sceglie di aderirvi ed è importante un inciso ricordando che predisporre non vuol dire che poi è pretesa la perfezione, anzi…la filosofia praticata non è dogmatica nè intransigente, nella sua azione predisponente semina e allena competenze in attesa che vengano praticate, ma è sempre pronta a provvedere al necessario in ogni momento, quindi anche post agito e/o quando si è già adulti, per allenare, domandare, dialogare e dipanare insieme chiarendo, organizzando, approfondendo ciò che viene vissuto come problema.
6. rendere più evidente (mettendo in tensione)
Nipote di Nietzsche questa categoria di significanza dell’armatura e armare declinata come filosofia praticata non prevede la distruzione a martellate, ma esercita comunque una tensione, un disagio, uno stiracchiare di qua e di là al fine di portare alla luce, in evidenza quando effettivamente compone il disegno d’insieme di quanto viene proposto in sessione di incontro come problematico, o come quadro della situazione.
La tensione che avviene nel porre domande e nel chiedere responsabilità per le parole scelte nel trovare risposte, nel chiedere di argomentare le scelte, di parole, immagini, soggetti, omissioni, l’intero processo dialogico in tensione fra l’io e l’altro che si concretizza nell’incontro fra consultante e consulente filosofico stira la situazione presentata, la tende sulle strutture del pensiero, la ancora alle categorie filosofiche rendendo così evidente sfumature, ombre prima invisibili o poco visibili.
E’ un’operazione piuttosto impegnativa e faticosa sia per il pensiero che per la sfera emotiva e quindi inevitabilmente anche per il corpo (perché non siamo sempre corpo, anche quando parliamo di sentire e riflettere!) perché richiede un esercizio di stiramento di ciò che si dice, di ciò in cui si crede, si tratta di tendere la propria visione del mondo su una struttura categoriale che potrebbe crepare alcune delle macchie di colore con cui ci siamo dipinti la nostra realtà, la nostra verità.
Fra tutte le categorie di significanza che stiamo vedendo questa è la difficile da spiegare perché se per le altre è possibile fornire esempi di pratiche e allena-menti questa tensione si realizza tutta solo nell’incontro.
Solo nell’incontro specifico fra l’io e l’altro, nello specifico setting e richiesta che è una sessione di counseling e consulenza filosofica, si compie si attua tale tensione.
Solo ascoltando il narrato che è domanda di ascolto può emergere la serie di domande che dialogicamente renda più evidenti quelle domande che vi si celano.
Quindi qui più che esempi di allena-menti e descrizione di pratiche posso tracciare solo a grandi linee una sorta di metodo di incontro, quello che seguo io nelle mie sessioni individuali per accompagnare chi lo desidera in questo momento di disvelamento:
- primo incontro conoscitivo gratuito di 30’ di presentazione e ascolto con conferma finale percorso
- preparazione proposta sulla base del problema presentato dal consultante
- presentazione lavoro autonomo (pdf composto da letture e pratiche)
- incontri di dialogo sul lavoro fatto dal consultante al fine di stendere, tirare quando emerso dal lavoro autonomo in modo da approfondire e allargare lo sguardo aprendo i concetti e facendo emergere e scoprire nuovi punti di vista, interpretazioni della propria narrazione capaci di fornire il necessario (ma non sufficiente e torneremo a spiegare perché è importante specificarlo!) per un cambiamento, sia esso di azione o sguardo.
Su questa scarna base, a seconda delle situazioni e delle persone, si possono innestare, come in una composizione floreale, pratiche diverse. Penso ad esempio a delle sessioni di mindfulness prima di iniziare il lavoro di tensione così da preparare la mente alla necessaria concentrazione. Oppure, in presenza, a lavori di rappresentazione fisica dei propri pensieri tramite l’utilizzo di diverse tecniche di lavoro manuale ed esercizi nello spazio. Oppure penso ancora all’ausilio della scrittura autobiografica come strumento per la propria narrazione. Penso anche alle pratiche filosofiche quali il dialogo socratico che in sessione individuale si declina come una chiamata ad assumersi la responsabilità delle parole scelte per definirle, chiarirle, confermarle o rifiutarle. Etc.
7. dare riconoscimento solenne
Questa categoria di significanza è un pò scivolosa perché rischia di far cadere la mia proposta in un tranello di elitismo e snobismo…rischio che sempre si corre quando si parla in un modo o nell’altro di cultura, di responsabilità, di consapevolezza. Ma è un rischio che non si può evitare dato che la filosofia è a pieno titolo parte della cultura, chiama a responsabilità ed è un cammino di consapevolezza…
Quindi, in che senso la filosofia che si fa pratica diventa anche un momento in cui si dà ( chi? a chi?) riconoscimento solenne?
Ogni attività importante che determini un passaggio da uno stato iniziale da principiante a uno successivo da esperto, o ogni evento che definisca un cambio di stato di chi lo vive sono segnati e celebrati con un riconoscimento più o meno solenne.
Penso, per esempio, alla proclamazione di laurea, agli esami di licenza media o il diploma delle superiori, ma anche agli avanzamenti di carriera, gli scatti di anzianità, i certificati di nascita, di matrimonio, gli atti notarili che sanciscono una scelta di possesso, etc.
Nei cammini personali invece, a meno che non si studi per acquisire le specifiche professionalità, il riconoscimento viene celebrato in modo molto meno eclatante.
Nei gruppi a volte accade che chi è riconosciuto esperto dal facilitatore o allenatore o insegnante venga posto davanti ad esempio o venga spesso incitato a parlare per primo in caso nessuno intervenisse o invitato a intervenire in caso i compagni si trovassero in difficoltà.
Non vi è particolare solennità in questi peraltro evidenti riconoscimenti.
Nelle relazioni d’aiuto, così come nei processi di cura, il riconoscimento invece si concretizza solitamente nell’affermazione da parte del professionista della non più necessità di proseguire gli incontri, il riconoscimento cioè non è riferito alle competenze o stato del cliente/paziente bensì sul ruolo del professionista non più necessario data la guarigione o superamento della crisi da parte del primo.
E nel caso della filosofia praticata? Come la si mette?
In realtà, per natura, scopo e struttura, gli incontri con una counselor/consulente filosofica potrebbero non interrompersi mai.
La spinta conoscitiva, la passione per la ricerca, l’approfondimento e l’esplorazione, il bisogno fecondo di confronto e dialogo non si esauriscono a un certo punto, non c’è uno stato da raggiungere o da ristabilire per il quale diventi superfluo l’incontro con il/la filosofo/a.
Quindi primo punto…a parlare con un/a filosofo/a si potrebbe andarci tutta la vita (come dall’analista direi…ma è un punto delicato su cui tornerò ma non ora).
Inoltre anche se nelle sessioni di incontro di filosofia praticata sicuramente il counselor o consulente filosofico farà riferimento esplicito o implicito a teorie e filosofi del passato e del presente non è sicuramente richiesto al consultante di studiarli e di dimostrarne una padronanza e conoscenza esperta. Quindi anche il riconoscimento solenne come proclamazione di esperto decade.
Vero però è anche che la filosofia praticata porta in sé uno spirito di diffusione e agisce come un soffione ovvero desidera che chiunque ne venga in contatto acquisisca, anche se chiaramente non a livello professionale, le competenze filosofiche, l’atteggiamento filosofico, che pratica essa stessa, come esercizio di maturazione a una buona vita, piena, consapevole, responsabile e responsabilizzata, leggera e profonda.
Per questo ho pensato a un momento finale che faccia da specchio a quello iniziale di incontro conoscitivo e ascolto:
- per le consulenze e sessioni di counseling individuale, quando il consultante decide di interrompere gli incontri, prevedo un momento di 30’ gratuito di commiato e ascolto in cui fare un punto della situazione, rivedendo il percorso fatto e quanto appreso ed esperito in esso. Un momento che sia di meta-analisi per il/la professionista e di proclamazione per il/la consultante;
- per le consulenze e gli allena-menti di gruppo invece ho pensato a veri e propri attestati di partecipazione in cui sia indicata la competenza allenata e scoperta insieme.
La solennità del riconoscimento risiede nella forma ( dedicare del tempo particolare a questo momento), non tanto per chi lo offre… perché siamo tutti in cammino, insieme.
8. immagine ironica di affiancamento alla progettazione senza diretta assunzione di responsabilità e rischio.
Con un/a counselor e consulente filosofica, abbiamo visto qualche giorno fa, si scelgono i mattoni gialli da posare e percorrere nella propria personale ricerca della verità, in un processo dialogico e di chiarificazione.
Gli incontri sono occasioni di sprone che spingono a non adagiarsi sui preconcetti, propri e imposti, e crescere in consapevolezza, sono vere e proprie sessioni di allena-menti in modo da diventare più esperti e rendere il proprio pensiero più rispondente, pronto, attivo e riflessivo…il tutto senza omologarsi a un modello, anzi…
Tutto bello e desiderabile e tutto fatto in compagnia del filosofo/a praticante che affianca, dialoga, espone, tende e domanda…ma alla fine della fiera ciascuno di noi vive da solo sotto la propria pelle, ciascuno di noi finiti gli incontri vive con sé nel sé della propria mente, del proprio sentire, del proprio percepire…per questo ho scelto di abbracciare anche quest’ultima categoria di significanza, un po’ dissacrante, dell’armare filosoficamente…
Perché il/la counselor e consulente filosofica possono sicuramente aiutare a cercare e indossare l’armatura filosofica e negli incontri si impara ad a(r)marsi filosoficamente…ma ciascuno si assume per se stesso la responsabilità e il rischio del processo e di ciò che ne conseguirà.
Nell’incontro di counseling, così come nelle consulenze filosofiche, il/la professionista affianca nella progettazione della strada di mattoni gialli…ma è poi il consultante a percorrerla, ad assumersene la responsabilità e il rischio.
Questo rientra sicuramente nel processo di maturazione filosofica (il filosofo in pratica vuole con le sue pratiche trasferire e conferire competenze e atteggiamento filosofico anche in chi vi si rivolge); ma
questa categoria di significanza ha anche la volontà e pregio di svelare la “nudità del re”…ovvero ricordare che il/la filosofo/a professionista che offre la consulenza non dovrebbe mai porsi come tenutario di chissà quale superiore sapere…perché
- non sta insegnando o conferendo alcuna formula magica o sapere risolutivo ma invece sta offrendo sessioni di allena-menti facendo insieme al consultante un lavoro preparatorio di predisposizione e riflessione, ma
- il lavoro vero, la vita vissuta con i suoi rischi e responsabilità è in capo al consultante, sotto e sulla propria pelle.
Sono particolarmente contenta di questa categoria e del memento e senso del ridicolo che si porta appresso…per ricordare sempre che la filosofia non offre risposte, ma aiuta a porre domande e che, recitando Salvatore Natoli “ se c’è un compito della filosofia (è) ma di portare alla luce (…) ciò che non si sa della vita vivendo”..sapendo che la vita, i suoi rischi e le sue responsabilità ciascuno è chiamato ad assumersi personalmente e nessun esperto potrà mai farlo e viverlo per noi!